Final Fantasy X e l'inganno della teocrazia: "questa è la mia storia", non di Yevon
Il modo in cui Final Fantasy X faceva riflettere sui dogmi che richiedono cieca accettazione è ancora oggi potente e attuale: come si rapportava il viaggio di Tidus e Yuna con la religione?
Oggi sentiamo spesso i più disattenti gridare “fuori la politica dai videogiochi!”, laddove con “politica” identificano solo qualsiasi cosa dia rappresentanza o rappresentazione a minoranze a loro avviso un po’ troppo rumorose rispetto al passato.
Eppure, tutte le opere che raccontano una storia hanno anche una declinazione politica. Parlare di questo o di quel tema, o non parlarne, sono a loro volta scelte politiche.
E uno dei più amati videogiochi di sempre, Final Fantasy X, aveva una straordinaria dimensione politica. Parlo volutamente di politica, perché uno dei temi cardine del gioco firmato da Squaresoft era la centralità controllante della religione nella vita degli individui.
E nell’evoluzione degli esseri umani come società.
Definire fin da ora la religione come aspetto politico, ossia che influenza la vita comunitaria degli individui, espone in modo abbastanza netto il mio personale pensiero in merito.
A dispetto del mio pittoresco cognome, che ha avuto il senso dell’umorismo, sono atea e probabilmente emergerà da questo testo.
Non è di quello in cui credo io, però, che voglio parlarle, ma delle riflessioni che Final Fantasy X metteva in tavola parlando proprio della forza – in qualche caso positiva, ma in molti altri distruttiva – delle credenze religiose a ogni costo, e dei pericoli che possono celarsi negli individui che affermano di parlare a nome di divinità mute che non hanno mai niente da commentare.
Attenzione: questo articolo contiene pesanti spoiler da Final Fantasy X. Se non avete mai completato il gioco e non volete anticipazioni, vi raccomando di interrompere la lettura.
Crearsi un dio
Spira, il mondo dove si svolgono gli eventi del gioco, è a suo modo unita da una cosa: il credere nel culto di Yevon. Sotto il nome di Yevoniti rientrano praticamente tutti i popoli (all’infuori di uno, come vedremo) e, come suggerisce il nome, essi venerano Yu Yevon.
Ma chi è Yu Yevon?
In realtà, nient’altro che un uomo dotato di poteri magici, esistito all’incirca mille anni prima degli eventi che vedremo nel gioco. All’epoca, il mondo era scosso dalla Guerra delle Macchine tra Zanarkand – guidata da Yu Yevon – e le forze di Bevelle.
Se da un lato Zanarkand aveva l’intercessione della magia, dall’altra Bevelle contava su macchine estremamente potenti. Misticismo e potere magico contro tecnologia.
Conscio che la tecnologia avrebbe schiacciato Zanarkand, Yu Yevon si servì dei cittadini della sua città come intercessori per evocare un potentissimo eone – una creatura bestiale capace di combattere – e per proteggere se stesso. Quella protezione è conosciuta come Sin, un essere titanico dalla forza così distruttiva che la prima cosa che polverizzò fu proprio Zanarkand.
Di fronte a una tale creatura, Bevelle decise di ritirarsi e, paradossalmente, la guerra terminò. Incapace di controllare un potere come quello di Sin, Yu Yevon vide la sua creatura distruggere la sua stessa città, dal momento che le aveva ordinato di polverizzare qualsiasi comunità troppo grande e troppo tecnologica, che potesse arrivare a replicare i pericolosi fasti di Bevelle.
Zanarkand venne devastata e perfino Yunalesca, figlia di Yu Yevon, sacrificò suo marito per evocare un eone supremo e combattere contro Sin e suo padre Yu Yevon. La battaglia ebbe successo, ma Yunalesca morì e Yevon si impadronì dell’eone, cominciando a ricostruire Sin.
E così in loop: ogni volta che qualcuno evoca un eone supremo per sconfiggere Sin, oltre a morire nel farlo vede Yevon impadronirsi dell’”anima” dell’eone, usata per rigenerare Sin all’infinito.
Come vedete, insomma, non c’è nessun dio in questa storia.
Eppure, Yu Yevon è la pietra angolare delle credenze di Spira, la divinità di tutti i popoli. Non parliamo di una divinità creatrice (Final Fantasy X in effetti di creazionismo non parla), ma di un uomo potente, che nel tentativo di trionfare contro il nemico sacrificò la sua gente e polverizzò la sua stessa città.
Abbiamo la prima riflessione interessante: il culto di Yevon è costruito sulla paura: paura per il potere di Yu Yevon.
E, soprattutto, paura per il potere della sua creatura, Sin, capace di ridurre in briciole la più grande metropoli che la storia di Spira ricordi – di cui rimangono solo le polverose rovine, a fare da monito e da deterrente a chiunque pensi di sottrarsi al credo che si ergerà su queste macerie.
Espiare per sempre
Considerando che la battaglia di Yu Yevon era contro la Bevelle iper-tecnologica e armata di macchine, il culto degli Yevoniti ritiene che Sin perseguiti le persone perché devono espiare per sempre i peccati commessi dai loro antenati, arresisi agli agi delle macchine e della tecnologia.
Questo concetto di espiazione perenne – che personalmente mi ricorda il culto cristiano del peccato originale da farsi perdonare per sempre – fa sì che la vita su Spira sia strapiena di rinunce e costrizioni.
Se paragonata alla fulgida bellezza di Zanarkand mille anni prima, oggi Spira è rurale, sempliciotta, la piccola cittadina di Luka sembra quasi una metropoli rispetto a minuscoli centri abitati come Besaid e Kilika.
Le persone vivono in comunità sparute, senza nessun agio, spesso di sussistenza, e la loro unica distrazione è rappresentata da uno sport chiamato BlitzBall.
Essendo però Spira maniacalmente teocratica, perfino il BlitzBall è votato ai dogmi religiosi (il saluto dei giocatori e il segno di preghiera corrispondono) e Final Fantasy X mostra che, durante l’atteso torneo, sono i grandi maestri religiosi a venire accolti e venerati nella città di Luka, ancora più degli atleti che si daranno battaglia in campo.
Ogni aspetto della vita di Spira richiama la necessità di farsi perdonare per i propri peccati impossibili da lavare via, e le macchine sono ritenute detestabili e rifuggite.
Per questo motivo, tutti i popoli sono uniti sotto il culto di Yevon, meno uno: si tratta degli Albhed, che hanno creato le macchine e sono tutt’oggi ritenuti responsabili della collera di Sin.
Tanto è vero che questo popolo, di cui fa parte anche Rikku – una delle protagoniste del gioco – continua a utilizzare le macchine e non crede a una parola di ciò che la chiesa di Yevon afferma.
Guadagnandosi così non solo il disprezzo degli altri popoli, che pensano che la collera di Sin sia dovuta alle intemperanze Albhed, ma anche del vero e proprio razzismo.
Se, da un lato, la religione è rappresentata come un collante tra genti molto diversi – umani, Ronso e Guado hanno davvero ben poco in comune, eppure sono uniti sotto l’egida di Yevon – dall’altro l’odio razzista verso gli Albhed è lapalissiano. Così come vero chiunque non rispetti i dogmi del credo, che viene stigmatizzato e guardato come un reietto.
Anche qui, la teocrazia cammina sulle gambe della paura: chi si allontana dal credo – e, per come è interiorizzato, nessuno si sognerebbe di farlo – è isolato e ostracizzato, discriminato e trattato come un reietto, colpevole delle pene che gli altri sono costretti a patire a causa sua.
Senza condizionamenti
Proprio a questo si lega la figura di Tidus. Il nostro protagonista, che viene dalla cosiddetta “Dream Zanarkand” – una Zanarkand illusoria creata da Yevon prima della distruzione, che voleva rendere eterno il ricordo della sua città quando era al massimo splendore – del culto di Yevon non sa niente.
E quindi non soffre di nessun condizionamento religioso, come tutti gli altri abitanti di Spira.
Ogni individuo di Spira è stato formato, fin da piccolo, per credere nei precetti di Yevon, per rispettarli, per avere terrore di Sin. Viene insegnato loro che l’unica speranza di pace sono gli invocatori – delle persone che, pregando nei templi, ottengono il dono di poter invocare degli eoni, da utilizzare al termine di un pellegrinaggio per provare a sconfiggere Sin.
Quando però Tidus arriva su Spira, non sa niente di tutto questo. Nessuno gli ha inculcato che i grandi maestri yevoniti si rispettano sempre e comunque, che gli Albhed sono il male, che le macchine sono malvagie e che se un invocatore è nel chiostro che prega non devi entrare – nemmeno se ha bisogno di aiuto.
Yuna è una invocatrice. Diciassettenne, è figlia del grande invocatore Braska, che ha sconfitto Sin dieci anni prima e che è morto nella battaglia finale mentre era accompagnato da Sir Auron, leggendario guerriero che oggi protegge Yuna. E che protegge anche Tidus.
Il giovane di “Zanarkand” si unisce al viaggio di Yuna nella speranza di capire come tornare a casa o come trovare un posto in questo nuovo mondo, ma Spira non ha nulla in comune con lui – a eccezione del BlitzBall.
E mentre Tidus va d’accordo anche con Rikku, la giovane Albhed del gruppo, il bigotto e di solito amichevole Wakka invece la disprezza, proprio perché è una Albhed e responsabile per i danni fatti dalle macchine. E quindi per l’esistenza di Sin.
Tidus si sovrappone al giocatore e sfrutta uno stratagemma narrativo per cui il protagonista, proprio come l’utente, viene da un mondo-altro e quindi di Sin e del culto di Yevon non sa niente. Non ha subito condizionamenti e guarda al credo di Spira da esterno.
Un po’ come per i cattolici è tutta colpa di Eva, per gli Yevoniti è tutta colpa degli Albhed. Accettano di espiare, ma a denti stretti, ma gridando “si però non è colpa mia!”, e puntando il dito contro qualcuno che il danno lo ha fatto prima di loro.
In questo contesto, Tidus si sovrappone con il giocatore e sfrutta in effetti uno stratagemma narrativo per cui il protagonista, proprio come l’utente, viene da un mondo-altro e deve imparare ogni cosa.
Di Yevon e dei suoi postulati, noi scopriamo tutto proprio mentre lo scopre Tidus. E non essendo a nostra volta condizionati dalla catechesi di Spira, come invece lo sono Yuna o Wakka, ogni volta che il nostro alter ego rompe un precetto ci rendiamo conto che avremmo fatto esattamente come lui.
L’ipocrisia di Yevon
Il culto di Yevon all’interno di Spira è amministrato dai maestri e dal gran maestro, con la chiesa che ha sede, curiosamente, proprio nell’odierna Bevelle.
Vivere a Spira non è facile: i morti devono subire un rito del Trapasso, compiuto di solito dagli invocatori, affinché la loro “anima” venga inviata nell’Oltremondo e non rischi, rimanendo ancorata alla vita, di trasformarsi prima o poi in mostri che possono attaccare le persone.
Ogni invocatore parte prima o poi per un pellegrinaggio, conscio che morirà nel suo scontro con Sin, nel tentativo di dare la pace alla sua gente.
Eppure, proprio gli invocatori rappresentano l’unica speranza degli abitanti di Spira, che li salutano e li accolgono come eroi.
Quando Tidus scopre che Yuna morirà nella battaglia finale, ovviamente non può accettarlo – così come gli Albhed non accettano che gli invocatori continuino a sacrificarsi, da martiri, inutilmente: alla fine, Sin torna sempre.
Il nostro team di protagonisti arriva, nel corso del suo pellegrinaggio, proprio a Bevelle. Ma, curiosamente, la città è iper-tecnologica e i soldati che la proteggono sfoggiano armi piuttosto avanzate. Interessante, per una chiesa che predica il non utilizzo delle macchine.
Mentre i popoli di Spira sono ridotti alla sussistenza e vivono dello stretto indispensabile, il clero di Bevelle si concede i suoi lussi e intanto punta il dito contro gli Albhed, in una guerra a chi è più disperato che si consuma ben lontana da lui.
E se il maestro Seymour, nel corso del gioco, si rivela essere un ambizioso e auto-eletto messia, il grande maestro Mika non è tanto meglio di lui. Il clero di Bevelle è composto in larga parte di persone già morte ma che hanno rifiutato il trapasso, cercando di continuare a esercitare il loro potere senza lasciare spazio a nessun altro.
E Sin è per loro una necessità: se le persone non avessero terrore di Sin, il credo in Yevon vacillerebbe. Se le persone si ponessero domande, si istruissero, sposassero la tecnologia, sentirebbero di non avere più bisogno del clero per sapere cosa fare per proteggersi da Sin.
Non ti poni tante domande, quando una mostruosità arriva dal cielo e spazza via la tua città. Soprattutto mentre chi sembra più preparato e più saggio di te ti ripete, da quando sei nato, che succede perché bisogna espiare il non rispetto dei precetti di Yevon. Ti fidi e basta, senza interrogarti.
La chiesa di Yevon sa benissimo che i precetti di Yevon sono uno strumento di controllo. E sa anche che il pellegrinaggio degli invocatori è sì uno strumento di speranza, ma solo illusoria: qualsiasi cosa Yuna, Braska e gli altri invocatori tentino di fare, Sin tornerà sempre, di solito nel giro di dieci anni.
Ogni sacrificio è vano, ma le persone non possono saperlo: perderebbero la speranza e, senza speranza, si romperebbe l’equilibrio che le mantiene devote. Non posso venerare un dio affinché mi salvi se so per certo che non c’è salvezza.
Posti di fronte all’ipocrisia della chiesa di Yevon, perfino Yuna, Wakka e gli altri membri del gruppo si ravvedono e perdono le loro certezze.
Yuna troverà un modo diverso per sconfiggere Sin, rinunciando all’invocazione suprema e facendo in modo che non possa rigenerarsi. Esattamente quello che il clero sperava non potesse mai succedere: senza Sin, loro non hanno più nessun controllo sulle persone di Spira.
Teocrazia
È quasi superfluo sottolineare come Final Fantasy X porti a riflettere in modo piuttosto brutale sulla cieca accettazione di dogmi e credenze.
Le persone di Spira, visto il terrore in cui vivono, non si pongono interrogativi e non avrebbero comunque i mezzi per trovare risposte. Quando Sin arriva e polverizza Kilika, il rispetto per Yevon non fa che rinsaldarsi.
La religione è rappresentata come grande livella – Sin non fa distinzione e quando spazza via, spazza via tutti – che unisce razze diverse, ma anche come magnete respingente per chiunque non la rispetti.
Ed è mostrata come strumento di controllo sfruttato da chi afferma di parlare in nome di un dio creato con il culto della paura, dato che sappiamo che Yu Yevon di certo non era una divinità.
L’impero di Yevon è costruito su una matrioska di bugie, dalle tecnologie di Bevelle al trapasso rifiutato dai ministri della chiesa, passando per il ritorno inevitabile di Sin – e le colpe degli Albhed, che danno ai credenti un nemico contro cui puntare il dito per non avere tempo di vedere quello vero.
Senza voler scomodare le numerose religioni che popolano il nostro mondo, e soprattutto senza voler assolutamente offendere le persone credenti, non è un segreto che anche nel mondo reale le religioni siano spesso servite come strumento sì di speranza, ma anche di controllo politico, di gestione della paura, di unione non solo sotto il nome di qualcosa, ma anche e soprattutto contro qualcosa.
Strumentalizzazioni che vengono accettate perché è ciò che ti viene insegnato – vieni battezzato e iniziato al credo, nel caso della religione cattolica a cui ad esempio è vicina la mia famiglia, ancora prima di avere una volontà.
Così non hai mai iniziato a interrogarti e interiorizzi quei precetti, che però sono diversi a seconda della famiglia in cui sei nato, della terra in cui sei nato, nel milione di religioni che popolano questo mondo.
In un mondo che ci dice che Sin tornerà sempre, che la speranza serve ma è solo un’illusione, possiamo spingere per il Bonacciale Eterno.
In questo, Spira nella sua teocrazia ammette a ogni latitudine un solo credo: quello per Yu Yevon. Chi abita a Luka e chi abita a Besaid vive lo stesso identico culto.
La chiesa di Bevelle è riuscita ad accentrare tutti i centri sotto il suo controllo, operando un condizionamento simile a quelli che vediamo nel mondo reale.
Eppure, il messaggio del gioco era chiaro fin dal prologo.
Allontanandosi per qualche tempo dai suoi compagni intorno al falò, con i quali in teoria starebbe parlando, Tidus in realtà si rivolge anche a noi. Ci dice che ci racconterà la sua storia.
E più avanti, nel gioco, in un momento decisivo e senza ritorno, Sir Auron dirà al resto del team che è il momento di forgiare la propria storia, che il destino è nelle nostre mani.
Nostre. Non in quelle del clero, né di Sin, né di Yu Yevon.
È uno dei grandi messaggi di fondo trasmessi da Final Fantasy X: le religioni, al di là di crociate, guerre sante e divisioni, hanno anche ispirato le persone a essere caritatevoli le une con le altre.
Final Fantasy X ci mostra e ricorda che il buono che possiamo fare viene e dipende da noi, da chi vogliamo essere nella nostra storia, e non c’è bisogno di un dio o di un suo portavoce che ci imponga dei dogmi per fare qualcosa di buono.
Yuna e i suoi scoprivano al termine del loro viaggio che non c’era nessun dio onnisciente (né pensante) dietro l’avvento di Sin: ogni assioma vissuto era di umana imposizione. E, allo stesso, anche ogni limitazione che ha reso gli abitanti di Spira dei paria. C’è troppo potenziale nelle persone – come in Tidus, con in Yuna, negli intenti degli Albhed – per imporre a ogni singolo individuo le stesse, strette maglie. Soprattutto se quelle maglie vanno a vantaggio di chi è seduto comodo sui suoi agi a Bevelle.
Ma questa è la mia storia, rimarca Tidus. E tra mille condizionamenti, sottrattivi o incrementali, siamo noi a decidere cosa farne.
In un mondo che ci dice che Sin tornerà sempre, che la speranza serve ma è solo un’illusione, possiamo spingere per il Bonacciale Eterno.
Non perché ce l’ha detto dio, o la chiesa, o quello che ci hanno insegnato – anzi, tutti loro ci hanno detto l’opposto.
Ma perché questa è la nostra storia. E di nessun altro.